Avere un figlio: gioia o dolore? Analisi critica della procreazione in chiave psicologica e spirituale

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Desidero avere un figlio?

Tutti prima o poi nella vita si pongono questa domanda. La maggioranza risponde sì, cercando in tutti i modi, anche in quelli meno etici, di diventare genitore, mentre solo una ristretta minoranza risponde no e sceglie consapevolmente di non procreare.
Cosa induce la maggior parte degli individui, indipendentemente dal loro retroterra culturale, nazionalità e grado di istruzione, a generare figli?
Solitamente le persone non riflettono molto a lungo su tale questione, infatti il più delle volte si riproducono senza nemmeno averlo programmato. Tanti altri, a questa domanda, risponderebbero per luoghi comuni, sostenendo che è normale avere figli e che, anzi, è anomalo e sospetto chi dichiara di non volerli, specialmente quando è una donna a farlo.

I motivi per far un figlio

Dare alla luce un bambino può essere un evento non previsto, oppure una scelta di coppia ponderata e programmata con anticipo. Ecco allora un elenco delle motivazioni più diffuse che le persone forniscono quando viene chiesto loro perché vogliono diventare genitori.

  • Amore: molti credono che fare un figlio sia un atto d’amore verso il proprio partner, verso Dio o verso il mondo nel suo complesso. Essi vogliono materializzare e manifestare questo sentimento attraverso la prole, dando una prova tangibile e concreta del loro amore.
  • Ambizione: per certuni, diventare genitori è semplicemente una ragione di vita. Aspirano ad avere una famiglia tutta loro per creare un micro-mondo a loro misura dove possano sentirsi realizzati. A volte è un desiderio che coltivano fin dall’infanzia, mentre in altre occasioni si tratta soltanto di un bisogno indotto che viene inculcato probabilmente dalla famiglia, dal proprio partner o più in generale dalla società.
  • Avere un ruolo: le donne, in modo particolare, vedono nella maternità un mezzo per ritagliarsi un ruolo fondamentale all’interno della comunità. Essere le depositarie della vita, curare e crescere un essere umano che non potrebbe sopravvivere senza di esse, le fa sentire indispensabili, uniche e utili.
  • Sostegno: alcuni sono convinti che i figli saranno necessari in futuro, nel momento in cui si avrà bisogno di essi a causa di malattie o della vecchiaia, dando per scontato che i propri discendenti asseconderanno le loro necessità e rimarranno sempre a disposizione.
  • Crisi: altri ancora concepiscono figli per risolvere una crisi. La nascita di un bambino può evitare una rottura di coppia; quest’ultima si vedrà infatti impegnata non più nell’affrontare le sue divergenze, bensì nell’accudimento della prole. Alla base di tale necessità possono esserci squilibri individuali dovuti a un senso di vuoto, al sentirsi soli e a sopraggiungere della noia.
  • Stirpe: poi ci sono coloro che desiderano crearsi una discendenza per i più svariati motivi, tra cui la necessità di trasmettere un’eredità o il desiderio di lasciare un segno del proprio passaggio in questo mondo.
  • Paura: infine troviamo quelli che diventano genitori perché soggiogati dalla paura di venire emarginati dagli altri se non hanno figli, oppure dal timore di pentirsi, successivamente, per non averli fatti quando ne avevano l’opportunità.

La riproduzione nel ciclo naturale

A prescindere dalla motivazione che ciascuno di noi si racconta, la procreazione non è una scelta, bensì un istinto; la scelta, semmai, potrebbe essere quella di non procreare. Non per niente, ci si riferisce ad esso con l’espressione “istinto materno”. Si tratta di un’indole primordiale, di un bisogno da soddisfare, come la sete o la fame, che accomuna, seppur in misura diversa, tutti gli essere viventi, siano essi animali, microrganismi o piante. La natura sfrutta l’istinto di riproduzione in dotazione ad ogni essere vivente per perpetrare se stessa. Generare un discendente significa semplicemente assecondare l’istinto di riproduzione e autoconservazione, adempiendo all’obbligo del ciclo biologico previsto per le creature che popolano il mondo terreno.

Istinti e pulsioni: la teoria di Freud

Secondo il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, l’uomo non è vittima di istinti, ma di pulsioni. Stando alla sua teoria, l’istinto è la capacità innata di reagire in maniera costante a determinati stimoli ed è presente negli animali. La pulsione, tipica degli esseri umani, è una spinta messa in atto dalla psiche che induce l’individuo ad attivarsi per raggiungere la sua meta. All’interno del corpo sorgono degli stimoli di tipo biologico, i quali vengono percepiti attraverso i sensi e finiscono per generare uno stato di tensione a livello psichico; l’individuo, grazie all’agire è in grado di raggiungere la gratificazione e il soddisfacimento. Esistono due pulsioni di base: Eros e Thanatos. La pulsione di vita, Eros, riguarda gli impulsi legati all’autoconservazione e alla sessualità, mentre quella di morte, Thanatos, corrisponde agli impulsi violenti e distruttivi. La necessità di procreare e la sessualità che ne deriva, sarebbero dunque da ricercarsi in questa pulsione primordiale che la natura ha inserito dentro ognuno di noi, e non tanto nelle emozioni e nei sentimenti che derivano dall’idea di avere un figlio.

Analisi psicologica delle motivazioni

Analizziamo ora dal punto di vista psicologico ciascuna delle motivazioni precedentemente fornite.

amore incondizionato verso i figli

  • Amore:i figli si fanno per amore”. Quando una persona sostiene tale idea, sperimenta in realtà una mancanza affettiva e un senso di vuoto. L’amore è un sentimento che sublima l’esistenza umana; quando si è innamorati si prova una sensazione di benessere e appagamento generalizzato e si smette di cercare la felicità altrove o in altre persone.
    L’amore è una manifestazione della nostra componente trascendentale e non può essere oggetto della proiezione di una carenza interiore, di una necessità egoistica. Si può veramente amare qualcuno che ancora non esiste? Non è semplicemente che sei innamorato dell’idea di avere un figlio?
  • Ambizione:ho sempre desiderato avere un figlio”. Alcuni desiderano crearsi una famiglia più o meno numerosa. A volte, anche le persone che all’apparenza sembrano concentrarsi maggiormente su stesse e sulla carriera lavorativa, alla fine diventano genitori e affermano che la loro vita precedente, quando ancora non avevano bambini, non aveva senso.
    Una volta diventati genitori, la loro intera esistenza si catalizza sulla cura della prole. Essi iniziano a trascurare la propria soggettività a beneficio dei figli, smettono di adoperarsi per migliorare se stessi e quindi rinunciano alla propria evoluzione individuale. Ma come puoi crescere consapevolmente un altro essere umano se tu stesso ancora non ti conosci a sufficienza?
    Questo desiderio non sempre nasce dal soggetto in questione; a volte, infatti, è frutto di stimoli o idee provenienti dall’esterno. Sei sicuro che il tuo bisogno di fare un figlio non sia generato da altri?
  • Avere un ruolo:cos’è una donna se non diventa mamma”. Potrebbe risuonare come un concetto antiquato, eppure nell’inconscio collettivo è ancora così. La maternità richiede molto tempo ed energie, le quali vengono inevitabilmente sottratte ad altre attività. Chi passa tutto il tempo ad occuparsi dei figli, annichilisce la propria personalità e perde interesse verso se stesso. Cosa farà quando i figli cresceranno e non avranno più bisogno di lei/lui?
    Dare costantemente la priorità ai bisogni della prole, per quanto possa sembrare un comportamento ammirevole e altruistico, con il tempo farà sentire la donna sminuita e priva di identità, in quanto costretta ad accantonare le sue esigenze. Questo comportamento, quando portato all’eccesso, sfocia in una vera e propria deviazione di personalità, nota come sindrome della crocerossina. L’infermierina ha bisogno che la dualità trionfi: esteriormente si mostra generosa, premurosa e completamente dedita agli altri o a una missione, interiormente percepisce insicurezza e un grosso vuoto di autostima. Ha dunque bisogno che qualcuno sia sempre in difficoltà e che la cerchi, cosicché lei possa alimentare il suo ego e ritenersi importante e indispensabile, al pari di un moderno Atlante, il quale regge il peso del mondo sulle proprie spalle. Per quale motivo, allora, vuoi che gli altri ti considerino una buona persona a tutti i costi?
  • Sostegno:faccio un figlio così si prenderà cura di me quando sarò vecchio”. Tale attitudine è tipica di un individuo con tendenze narcisistiche ed egoistiche molto pronunciate. Chi fa questa affermazione, immagina che i suoi figli lo accudiranno nella vecchiaia, in cambio, naturalmente, di quanto fatto per la loro crescita. Queste persone sono talmente concentrate su se stesse da non prendere nemmeno in considerazione le potenziali ambizioni dei loro figli e la possibilità che questi, per qualunque motivo, volontario o meno, possano trasferirsi in luoghi lontani. E se tuo figlio decidesse di andare a vivere all’estero, tu come la prenderesti?
    Inoltre, le persone che ragionano in tale maniera, perseguono la logica “do ut des” (io do affinché tu dia) e certamente non mettono in pratica il principio dell’amore incondizionato tanto spesso chiamato in causa quando ci si riferisce alla prole.
  • Crisi:faccio un figlio per salvare la nostra relazione”. Chi arriva a questa conclusione manifesta un carattere opportunistico ed è disposto a scendere a qualsiasi compromesso pur di raggiungere i propri scopi. Senza neppure esserne conscio, sta caricando di responsabilità una creatura che ancora non è nata.
    Quando ci sono dei problemi di coppia, oppure individuali in uno dei due partner, i bambini inizialmente sembrano adombrarli, in quanto capaci di attrarre tutta l’attenzione su di sé. Però, con il tempo, essi tornano ad emergere, poiché le problematiche non si risolvono da sole semplicemente ignorandole; è infatti necessario affrontarle. Se una coppia non riesce a far funzionare il proprio rapporto, non riuscirà neppure ad allevare armoniosamente la propria creatura. Servono delle solide basi per costruire una famiglia, proprio come avviene per una casa: tu la erigeresti su fondamenta resistenti o su un terreno cedevole?
  • Stirpe:faccio un figlio per portare avanti il mio nome/cognome”. Chi sente tale bisogno dimostra un alto grado di superbia e tracotanza, ma anche di essere un ingranaggio inconsapevole del ciclo biologico. Necessitando di tramandare i suoi geni e illudendosi di poter rendere immortale la propria dinastia, appare estremamente asservito all’istinto di autoconservazione e alle logiche della natura.
    A volte, le ragioni per assicurarsi un lignaggio possono essere di tipo economico. Questa è una peculiarità delle persone materialiste attaccate visceralmente a questo mondo, le quali vogliono che una piccola parte di sé sopravviva nel tempo e prosperi grazie alle ricchezze tanto faticosamente accumulate. Tali persone proiettano la loro vanagloria sull’erede, considerandolo come prolungamento di sé e non come individuo indipendente. In certi casi i figli vengono trattati alla stregua di pedine su una scacchiera con un ruolo ben preciso nel disegno pluriennale tracciato dai genitori stessi. Cos’è per te un figlio, una persona o una delle tue tante proprietà?
  • Paura:tutti hanno dei bambini, se non faccio un figlio ora, me ne pentirò”. Decidere se avere una progenie in base a ciò che fanno gli altri non è molto saggio, in quanto lascia trasparire una personalità insicura che non è in grado di riflettere autonomamente, avendo al contrario bisogno dell’approvazione altrui. Non è l’età biologica né una persona esterna a determinare quando e se avere un figlio; nessun altro tranne te conosce il tuo stato d’animo e la tua inclinazione verso la genitorialità. Bisogna riflettere consapevolmente prima di prendere delle decisioni così importanti, evitando di farsi soggiogare da emozioni e sentimenti di stampo negativo. Diversamente, non ci si sentirà mai all’altezza della situazione e si trasferirà ai figli la negatività provocata dalla paura. Cosa fai quando qualcosa ti spaventa? La eviti o la affronti?

La procreazione e il suo significato spirituale

La generazione di nuove vite può essere analizzata anche attraverso una prospettiva ultraterrena. Secondo alcune filosofie orientali, esiste un ciclo di reincarnazioni. Ogni individuo è composto da una componente materiale, il corpo, da una mentale, e infine da una trascendentale e immortale, ossia l’anima. Quest’ultima abbandona il corpo nel momento della morte fisica, per poi tornare a incarnarsi in un contenitore diverso. Si tratta di un ciclo dal quale le anime non riescono a liberarsi facilmente, essendo quest’ultimo un riflesso della consapevolezza individuale. Minore è la consapevolezza, maggiore sarà la probabilità di ritornare immediatamente sulla Terra per fare una nuova esperienza corporea. Una maggiore evoluzione spirituale permetterà invece di poter prendere in considerazione altre opzioni, e infine di interrompere del tutto il meccanismo delle reincarnazioni.

Quella che noi consideriamo essere la realtà esteriore, altro non è che una proiezione di ciò che risiede dentro di noi. Cosa significa, questo, in termini pratici? Significa che una persona particolarmente materialista e attaccata alle cose terrene, una volta abbandonato il corpo farà di tutto per tornare immediatamente indietro e rivivere l’unica tipologia di vita che ritiene possibile, quella fatta di oggetti, denaro e piaceri. Una persona che ha saputo connettersi con la propria anima e il proprio spirito, avrà a disposizione una più vasta gamma di scelte, come è ovvio che sia.

La reincarnazione nell’antica Grecia: il Mito di Er

Quello della reincarnazione è un argomento che viene esaminato da millenni; gli stessi pensatori dell’antica Grecia si interrogavano su di esso, dandone una loro interpretazione. Platone, ad esempio, ne spiegò il funzionamento attraverso il Mito di Er. Er, un valoroso soldato caduto in battaglia, ritorna in vita dopo essere stato dato per morto, e racconta ciò che ha sperimentato in seguito all’abbandono del corpo. Egli narra che l’anima, una volta uscita dal corpo, a seconda di come si è comportata, viene punita o premiata per mille anni, allo scadere dei quali viene chiamata a reincarnarsi. Quando arriva questo momento, tutte le anime si riuniscono in una radura presso la quale vengono resi disponibili vari modelli di vita fra cui scegliere. La dea della necessità, Ananke, estrae a sorte chi dovrà scegliere per primo e chi in seguito. Ovviamente, la prima anima estratta avrà più possibilità di scelta, mentre l’ultima sarà più sfortunata, ma anch’essa potrà decidere fra varie opportunità: mai nessuno è costretto a scegliere una vita che non vuole.

il mito di Er reincarnazione

Er racconta poi come le anime operino le loro scelte: non solo in base alla fortuna del sorteggio, ma anche in conseguenza delle abitudini contratte nella vita precedente. Dopo aver compiuto la decisione, esse devono recarsi dalle tre Moire che rendono immutabile il loro destino. Successivamente s’incamminano attraverso la deserta e calda pianura del fiume Lete, dove sono obbligate a bere la sua acqua, la quale dà l’oblio, ovvero cancella i ricordi della vita precedente. Solo in questo momento sono pronte per tornare sulla Terra.
Secondo tale allegoria, le anime perdono la memoria dell’esistenza antecedente e di conseguenza anche degli insegnamenti appresi, dovendo ricominciare tutto daccapo. Ma allora, perché reincarnarsi continuamente?

L’anima e le esperienze di pre-morte

La teoria della reincarnazione trova eco in eventi che suscitano scarso interesse da parte dei ricercatori scientifici, e che pertanto non possiedono ancora una spiegazione logico-razionale. Tra tali episodi sono comprese le esperienze di pre-morte (NDE) vissute da alcuni dopo essersi trovati in situazioni particolarmente traumatiche. In pratica si tratta di individui che sono prima morti e poi resuscitati. Queste persone sperimentano la sensazione di separazione dal corpo fisico, vedendo se stesse dall’alto, come se fossero entità incorporee. Spesso vedono anche una luce bianca intensa che trasmette loro un senso di pace, e non di rado si incontrano con persone care defunte o con esseri ultraterreni.

Alcuni ricercatori ritengono che le esperienze di pre-morte siano semplicemente manifestazioni fisiologiche dovute all’attività cerebrale residuale, ma ciò non spiega affatto come mai tali episodi siano caratterizzati da modelli ricorrenti. Inoltre, non esiste alcuna spiegazione plausibile, almeno dal punto di vista scientifico, rispetto al fatto che le persone apparentemente decedute vedano le cose dall’alto e siano in grado di ricordare ciò che hanno visto e ascoltato mentre erano, in teoria, morte.

L’energia animica dell’umanità

Sorge però un altro grande dilemma circa l’energia animica di questo pianeta. Supponiamo che tale energia sia sempre la stessa e che ognuno di noi possieda una sua anima. A partire dagli anni ’50 del ventesimo si è verificata una crescita esponenziale della popolazione; più persone si traducono in più anime. A questo punto possono esserci solo due possibilità: o qualche contenitore risulta essere vuoto, ossia un corpo sprovvisto di anima, oppure l’energia animica complessiva viene diluita all’interno di un numero sempre maggiore di individui. In entrambi i casi possiamo dedurre che certe persone siano più animiche di altre. Ma cosa succede a quelle persone che non hanno anima o che ne hanno poca? Noi non possediamo certamente una risposta definitiva, ma possiamo ipotizzare che il tutto si traduca in una questione di maggiore o minore propensione all’evoluzione spirituale, e dunque all’acquisizione di consapevolezza. Questo potrebbe spiegare perché determinate persone sembrino non maturare mai, restando praticamente le stesse dall’infanzia sino alla vecchiaia, mentre altre seguano un percorso di cambiamento.

Totem e tabù

Per quanto sia possibile analizzare il desiderio genitoriale da un punto di vista biologico, psicologico e spirituale, non è però ancora ammesso criticare l’istinto riproduttivo. Dare alla luce un bambino è considerato, sempre e comunque, come un evento positivo, una gioia e una tappa obbligata per tutti gli individui. I neonati vengono spesso idolatrati, proprio come certi popoli adorano i loro totem, mentre affermare di non volere un figlio diventa un tabù. Per quale ragione non siamo liberi di affermare che diventare genitori è una non scelta, ovvero un semplice agire su base istintuale? Qualunque scelta consapevole dovrebbe derivare da un processo razionale, mentre seguire un istinto non implica affatto l’utilizzo della razionalità.

Le conseguenze della riproduzione istintuale

Secondo il senso comune, avere tanti figli è un fatto positivo, laddove non averli è negativo. Nell’introduzione del film “Idiocracy” vengono messe a confronto due coppie, una composta da due persone incolte e rumorose che vivono in ristrettezze economiche, ma che mettono al mondo molti figli, e un’altra formata da due persone istruite e benestanti che decidono di non procreare. Quali valori trasmetterà la prima famiglia alla prole? Come potrà quest’ultima maturare, non solo in termini fisici, ma anche spirituali, se i suoi punti di riferimento sono due genitori ancora immaturi mentalmente?

idiocracy fare figli

Conclusioni

La società moderna è contraddistinta da inciviltà e stupidità dilaganti. Quelli che un tempo erano dei valori, dei pilastri delle comunità, oggi sono andati perduti e sono stati soppiantati da credenze che portano l’essere umano a degenerare piuttosto che a crescere. Certi comportamenti che nel passato erano considerati patologici, oggi sono stati trasformati nella normalità, quando non addirittura incentivati. Quando la collettività non condivide, o arriva addirittura a denigrare gli ideali di un individuo, quest’ultimo non si sente a proprio agio e non è incline a crescere un figlio in un contesto percepito come ostile. A te che pensi che il mondo sia ingiusto, iniquo e a volte cattivo, che effetto fa l’idea di regalare una nuova vita ad esso? Credi che sarà tuo figlio colui che cambierà il mondo in meglio? Oppure, molto più semplicemente, anch’egli sarà costretto ad adattarsi alle sue logiche se vuole sopravvivere? Quest’ultima domanda non è banale e ti invitiamo a rifletterci sopra senza pregiudizi.

Se il mondo non ci piace, dobbiamo prima cambiare noi stessi e il nostro comportamento, dopodiché anche il mondo migliorerà di conseguenza. Al contrario, aggiungere nuove risorse umane ad una società malata, non farà altro che diffondere la malattia.

<<Chi vuol muovere il mondo, prima muova se stesso>>, Socrate.

L’ultima riflessione che proponiamo riguarda la percezione della nascita e della morte. Questi due momenti dell’esistenza vengono solitamente contrapposti, invece sono strettamente correlati, come spiegato nella teoria della reincarnazione. La nascita viene considerata un lieto evento, l’inizio di una nuova vita, e la morte un accadimento funesto, la fine di tutto; per quale motivo? In un’ottica spirituale questa vita è solo un passaggio, un momento di transizione, in cui la nascita può rappresentare l’inizio della prigionia dell’anima all’interno di un corpo materiale, e la morte la potenziale liberazione da esso. Secondo la filosofia stoica, bisogna accettare la morte come parte del proprio percorso e sfruttare la vita per prepararci ad essa, facendo tesoro delle nostre esperienze.
Proviamo quindi a reinterpretare nascita e morte in termini animici, considerando la prima come una prigionia dalla quale è però possibile liberarsi, e la seconda come la porta della cella che cerchiamo di aprire attraverso la chiave della ricerca spirituale e della consapevolezza.

<<Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire>>, Lucio Anneo Seneca

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