Nell’antichità molti popoli erano politeisti, cioè adoravano vari Dei. Se si studiano approfonditamente i Pantheon delle varie culture, si scoprono diverse analogie, non solo nei ruoli delle divinità, ma anche in certi miti e leggende, ad esempio quelli legati alla creazione del mondo e al diluvio universale, come se un filo rosso legasse le origini di tutta l’umanità.
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>> Perché i miti greci?
>> La cosmogonia (nascita del cosmo)
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Perché i miti greci?
In questo articolo ci soffermeremo sulla mitologia dell’antica Grecia per due ragioni; in primis per fornire un contesto e far conoscere agli utenti del nostro Test della Saggezza Giovanile i personaggi che appaiono nei risultati. In secundis, perché il nostro staff ammira il pensiero filosofico ellenico, in particolare quello di Socrate e Platone, che si fonda anche sulle conoscenze e sulla mitologia di questo popolo. Proprio come noi, anche gli antichi Romani rimasero affascinati dalla cultura greca, attingendo da questa grande civiltà non solo determinati concetti, ma anche la mitologia. Nella trattazione, oltre alle caratteristiche degli Dei ellenici, forniremo anche il corrispettivo latino.
Non una lezione noiosa, ma delle storie divertenti
Se gli utenti più giovani dovessero trovare questa disamina troppo lunga, consigliamo di leggerla un po’ alla volta, come se fosse un libro i cui capitoli vengono letti ogni giorno. Il nostro intento è quello di intrattenere e non di annoiare, per questo cerchiamo di essere concisi ed esplicativi. Consideratela come una serie di racconti, non così diversa dai libri che i ragazzi sono abituati a leggere.
1. La cosmogonia (nascita del cosmo) di Esiodo
Esistono varie teorie, nella mitologia greca, circa la creazione del mondo. In questo caso prendiamo in esame la teogonia (ovvero la nascita e genealogia degli Dei) di Esiodo, un poeta greco.
In origine non esistevano né le stelle, né la Terra e l’universo, regnava solo il Caos senza forma, al di là del tempo e dello spazio. Dal Caos apparve Gea, la Madre Terra, divinità primigenia e madre di tutti gli Dei e di tutti gli uomini. Gea generò da sola Urano, divinità del cielo e del firmamento, che, fecondando Gea, la terra, portò alla nascita dei Titani, tra cui Oceano, Rea, Mnemosine, Teti e Crono. Gea e Urano furono per un tempo i governatori di tutto l’universo.
1.1 Il regno di Urano
Urano, disgustato dall’aspetto dei suoi figli (come quello degli Ecatonchiri, che avevano cento mani, e dei Ciclopi, che avevano un occhio solo) e per timore di essere spodestato, li fece sprofondare tutti all’interno della terra. Gea, triste, creò dalle sue viscere una falce ed esortò i suoi figli ad uccidere il loro padre. Solo il più giovane di loro, Crono, accettò di farlo. Quando, come ogni notte, Urano scese sulla terra per abbracciare la moglie Gea, Crono evirò il padre con il falcetto. Il sangue che uscì copioso dalla ferita fecondò Gea, dalla quale nacquero le Erinni, le ninfe Meliadi e i Giganti. Il seme di Urano che toccò le onde del mare generò Afrodite, Dea dell’amore. Urano scappò e non si avvicinò mai più a sua moglie, la terra.
1.2 Il regno di Crono
Il trono sarebbe spettato ad Oceano, il figlio maggiore di Urano e Gea, ma Crono con l’inganno se ne impadronì, diventando governatore del cosmo. Crono liberò i suoi fratelli Titani, lasciando però imprigionati i Ciclopi e gli Ecatonchiri, e sposò sua sorella Rea. Rea e Crono ebbero numerosi figli tra cui: Ade, Poseidone, Zeus, Era, Demetra ed Estia.
Nel frattempo apparvero altre divinità come Thanatos (Morte), Eris (Discordia), Nemesi (Giustizia), Elios (Sole), Selene (Luna), Iride (Arcobaleno).
1.3 I figli di Crono
Sotto il comando di Crono la Terra conobbe l’età dell’oro, ma la tranquillità terminò quando venne predetto al governatore che il suo regno sarebbe terminato per mano di uno dei suoi figli. Terrorizzato, Crono iniziò a divorarli appena nati, tenendoli prigionieri nelle sue viscere. Con l’ultimo, Zeus, Rea gli portò un masso al posto del figlio, ma, essendo avvolto in fasce, Crono lo inghiottì senza accorgersene. Zeus venne portato in una caverna nell’isola di Creta, affidato alle cure delle ninfe Melissa e Adrastea e allattato dalla capra Amaltea. Quando Zeus crebbe, salì in cielo ed offrì a Crono una bevanda preparata dalla Dea Meti che gli fece vomitare i figli, poi dichiarò guerra al padre.
1.4 La Titanomachia (la battaglia dei Titani)
Iniziò una lunga guerra che vide contrapposti Crono, spalleggiato dai Titani, e i suoi figli. Gea suggerì a Zeus di liberare i Ciclopi per stringere con essi un’alleanza. Così fece, liberando anche gli Ecatonchiri. I Ciclopi, per ringraziare Zeus di aver restituito loro la libertà, fabbricarono per lui delle armi: le folgori (fulmini). Zeus e i suoi alleati vinsero la battaglia, Crono venne allontanato e i Titani incatenati nel Tartaro (le profondità della terra) sotto la custodia degli Ecatonchiri.
1.5 La vittoria di Zeus
Dopo la lotta contro i Titiani, Zeus si spartì il mondo facendo un sorteggio con i suoi fratelli maggiori, Ade e Poseidone. Zeus ebbe in sorte i cieli e l’aria, Poseidone le acque e ad Ade spettò il regno dei morti. L’antica terra, Gea, non poté essere concessa ad alcuno, ma venne condivisa da tutti e tre a seconda delle loro capacità. Ebbe così inizio il regno di Zeus, il quale scelse come dimora degli Dei il Monte Olimpo.
1.6 La battaglia tra Zeus e Tifone
Gea, che non sopportava l’idea che i suoi figli Titani fossero imprigionati nel Tartaro, chiese a suo figlio Tifone, padre di tutti i venti, di muovere guerra contro Zeus e lui accettò. Nessuno era alto come Tifone, il quale aveva cento teste che sputavano fuoco. Quando arrivò sull’Olimpo gli Dei scapparono e rimase solo Zeus, che venne sconfitto. Ermes, figlio di Zeus, messaggero degli Dei e Dio dei commerci, successivamente lo curò e lo aiutò, rendendolo di nuovo forte. Il padre degli Dei combatté ancora contro Tifone, ma questa volta ebbe la meglio e lo imprigionò sotto il Monte Etna. Seguì un periodo di pace e gli Dei poterono tornare sull’Olimpo.
1.7 La Gigantomachia (la guerra dei Giganti)
Gea si recò poi dai Giganti per muovere nuovamente guerra contro Zeus, questi accettarono perché, secondo la profezia, nessun Dio immortale li avrebbe sconfitti. Sapendo ciò, Zeus chiamò alle armi, oltre agli Dei Olimpi, anche suo figlio Eracle, che era semplicemente un semidio. Eracle, dopo essersi cosparso il corpo con un’erba magica, inflisse a tutti i Giganti feriti dagli altri Dei il colpo mortale, in quanto lui non era una vera divinità. Zeus vinse la battaglia e poté continuare a regnare per sempre.
2. Zeus
I simboli di Zeus erano la folgore, il toro, l’aquila, la quercia e l’ulivo. La figura equivalente nella mitologia romana era Giove.
Per i Greci, Zeus era il signore del cielo, il padre degli uomini e degli Dei; governava sui fenomeni metereologici, distribuiva successo o rovina. Proprio per questa sua centralità cosmica, era il garante dell’ordine universale, il perno della giustizia e il fondamento del potere legittimo. Con la vittoria sul padre Crono, Zeus ottenne il potere eterno e pose le basi per una nuova spiritualità, insegnando agli uomini la vera saggezza, che consisteva nel riconoscere il valore positivo della sofferenza e nell’affidarsi alla provvidenza divina.
2.1 I figli di Zeus
Oltre ad essere il simbolo di giustizia sui cieli e sulla terra, Zeus era anche visto come inguaribile amante e seduttore, diventando padre dell’umanità anche in senso biologico. Nonostante Era, Dea protettrice del matrimonio e dei figli, fosse la moglie legittima, Zeus ebbe numerose amanti e di conseguenza tanti figli. Spesso, per raggiungere i propri scopi e sedurre le sue innamorate, attuava metamorfosi trasformandosi ad esempio in cigno, in toro o in pioggia dorata. Un Dio, certo, ma anch’egli alle prese con le debolezze umane; in questo modo le persone potevano avere un rapporto più diretto, sentirsi più vicine a lui, trattarlo con familiarità, riuscendo a sviluppare quindi una profonda fede.
Zeus era sia il fratello che il marito di Era. Con lei ebbe Ares, Ebe ed Efesto. Le numerose conquiste che Zeus fece tra le ninfe e le mortali diedero inizio alle più importanti dinastie greche. Tra i suoi figli si annoveravano i gemelli Apollo e Artemide, Ermes, Persefone, Atena, Dioniso, Eracle, Elena, Minosse e le Muse.
3. Poseidone
Il simbolo del Dio Poseidone era il tridente e gli animali a lui sacri erano il cavallo, il toro e il delfino. I Romani lo chiamavano Nettuno. Era figlio di Crono e Rea e fratello di Ade e Zeus. Poseidone era il Dio dei mari e dei fiumi, creatore delle tempeste e delle alluvioni, nonché portatore di terremoti e distruzione. Abitava in uno stupefacente palazzo dorato sotto i mari, meravigliosamente adornato con coralli e fiori marini. Nell’Odissea di Omero, Poseidone si infuriò e, per vendicare l’accecamento di suo figlio Polifemo, constrinse Ulisse a vagare in mare per dieci anni.
Era forse il più distruttivo tra tutte le divinità antiche, ma non aveva solo una forza negativa, era anche il protettore dei marinai e dei cavalli.
3.1 I figli di Poseidone
Dopo un lungo corteggiamento, sposò Anfitrite grazie all’aiuto di un delfino che la rapì. Come segno di gratitudine verso l’animale, Poseidone creò una costellazione con la sua forma e il suo nome. Il più celebre figlio di Poseidone ed Anfitrite fu Tritone, mezzo uomo e mezzo pesce. Altri due figli della coppia furono Rode e Bentesicima.
Come le altre divinità, Poseidone fu padre di molti altri personaggi con vari partner. I più illustri furono Teseo, il Ciclope Polifemo, Orione, il cavallo alato Pegaso.
3.2 La contesa per la città di Atene
Nella leggendaria competizione con Atena per aggiudicarsi il patrocinio di Atene, Poseidone offrì in dono alla città una sorgente di acqua salata. Tuttavia il regalo offerto da Atena, un ulivo, ottenne maggiore gradimento e fu lei a diventare protettrice della grande città greca.
4. Polifemo
Figlio di Poseidone e della ninfa Toosa, Polifemo era un Ciclope, ossia un gigante con un occhio solo. Si nutriva con il formaggio che ricavava dal latte delle sue pecore. Quando però capitavano dalle sue parti degli stranieri, li divorava senza pietà.
4.1 Polifemo nell’Odissea
Omero narrava nell’Odissea che Ulisse, re greco d’Itaca, durante il suo lungo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, sbarcò nella Terra dei Ciclopi, dove raggiunse e visitò una grotta. Curioso di conoscere il padrone di tale rifugio, Ulisse decise di restare in attesa. Al sentire la terra tremare sotto i passi del gigante, l’eroe e i suoi compagni si nascosero, venendo però presto scoperti. Ulisse si fece pertanto avanti, chiedendo ospitalità al Ciclope. Polifemo afferrò e divorò quattro compagni del re d’Itaca e imprigionò i restanti nella grotta, intenzionato a mangiarli uno per uno.
4.2 Il “dono” di Polifemo
Intrappolato con i suoi compagni nella caverna del Ciclope, il cui ingresso era bloccato da un masso enorme, Ulisse escogitò un piano per fuggire da Polifemo. Come prima mossa, egli offrì del vino dolcissimo e molto forte al Ciclope per farlo cadere in un sonno profondo. Polifemo gradì così tanto il vino che promise a Ulisse un dono, chiedendogli però il suo nome. Ulisse, astutamente, gli rispose allora di chiamarsi Outis, ovvero “Nessuno” (in greco Outis aveva un’assonanza con il suo nome, Odisseo). «E io mangerò per ultimo Nessuno», fu il dono del Ciclope.
4.3 L’astuzia di Ulisse
Polifemo si addormentò profondamente stordito dal vino, e Ulisse mise in atto la seconda parte del suo piano. Egli infatti, insieme ai suoi compagni, aveva preparato un bastone di notevoli dimensioni ricavato da un ulivo che, una volta arroventato, fu piantato nell’occhio del Ciclope addormentato. Polifemo urlò così forte da destare dal sonno i Ciclopi suoi fratelli. Essi corsero alla porta della sua grotta mentre Ulisse e i suoi si nascondevano vicino al gregge di Polifemo. I Ciclopi chiesero a Polifemo perché avesse urlato così forte e perché stesse invocando aiuto, ed egli rispose loro che Nessuno stava cercando di ucciderlo. I ciclopi, pensandolo ubriaco o in preda all pazzia, gli raccomandarono di pregare suo padre per ricevere aiuto e lo lasciarono a se stesso.
4.4 La fuga di Ulisse
La mattina seguente, mentre Polifemo faceva uscire dalla grotta il suo gregge per liberarlo, Ulisse e i marinai scapparono grazie ad un altro abile stratagemma, che faceva parte della terza parte del suo piano. Ognuno di loro si aggrappò al vello del ventre di una pecora per sfuggire al tocco di Polifemo, in quanto il Ciclope si era posto davanti alla porta della caverna, tastando ogni pecora in uscita per impedire ai greci di fuggire. Ulisse, ultimo ad uscire dalla grotta, era aggrappato all’ariete più grande, il preferito del Ciclope.
4.5 L’errore di Ulisse e l’intervento di Poseidone
Accortosi della fuga dei viaggiatori, Polifemo si spinse su un promontorio, dove, alla cieca, iniziò a gettare rocce contro il mare, nel tentativo di affondare la nave. Qui Ulisse commise un errore. All’ennesimo tiro a vuoto del Ciclope, Ulisse, ridendo, gridò: «Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Nessuno, ma Ulisse d’Itaca!», rivelando così il suo vero nome. Polifemo, venuto allora a conoscenza della sua identità, ebbe a maledirlo e invocò il padre, Poseidone, pregandolo di non farlo mai ritornare in patria, oppure, se il destino ne avesse previsto il rientro, di far durare il suo viaggio per anni, di fargli perdere tutti i compagni e di trovare in patria solo sciagure.
5. Dioniso
Dio del vino, dell’ebbrezza e della follia intesa come totale abbandono alle forze oscure e misteriose della natura e della psiche, al di fuori di ogni controllo razionale o disciplina morale. Tipici simboli di Dioniso erano il tirso (bastone di legno sormontato da una pigna e ornato da tralci di edera e di vite), la nebride (pelle di capriolo adibita a mantello), la maschera. Veniva spesso rappresentato con una corona d’edera e con la sua coppa, il Kantharos. A Roma era conosciuto come Bacco.
5.1 Istinto, follia e mutevolezza
Questa divinità rappresentava l’energia selvaggia e il lato più animalesco ed istintivo della natura umana, era spesso responsabile di atti crudeli e privi di pietà. A lui venivano associati anche i concetti di follia e di delirio.
Dioniso era soggetto a cambiamenti costanti e trasformazioni, era un Dio “fluido” dalla multiforme natura: maschile e femminile, animalesca e divina, tragica e comica. Incarnava nel suo delirio mistico la scintilla primordiale ed istintuale presente in ogni essere vivente e anche nell’uomo civilizzato; come sua parte originaria e insopprimibile che poteva riemergere ed esplodere in maniera violenta, se repressa e non elaborata correttamente.
5.2 Nascita e giovinezza di Dioniso
Secondo il mito, nacque da Semele e da Zeus a Tebe. Morta la madre, che cadde in un tranello tesole da Era, Dioniso fu trasferito dal grembo di Semele alla coscia di Zeus, nella quale fu completata la sua gestazione, poi venne allevato dalle Ninfe. Una volta cresciuto, Era, ancora gelosa e irata per il tradimento del marito, colpì Dioniso direttamente, facendolo sprofondare nella follia. Da questo episodio ebbero origine i suoi pellegrinaggi in diverse località del mondo. Nei suoi viaggi, che lo porteranno fino in India, Dioniso non mancava di diffondere la sua invenzione del vino e di rivendicare la sua natura divina con tutte le popolazioni con cui entrava in contatto. In Siria egli si imbatté in Damasco, figlio di Ermes, che si opponeva alla diffusione del vino. Il primo vero oppositore di Dionisio venne quindi torturato dal Dio stesso e scuoiato vivo.
5.3 Venerazione dionisiaca
Il culto di Dioniso era diffuso in tutta la grecità. Fra i suoi adepti si registravano soprattutto donne (baccanti o menadi), ma anche creature semiferine (metà uomini e metà animali) come Satiri e Sileni; ciò sottolineava il carattere virtualmente sovversivo e alternativo dell’adorazione dionisiaca.
Il Dio del vino e dell’ebbrezza ebbe un numero elevato di amanti, tanto donne quanto uomini, benché ognuno di questi fosse stato precedente al suo matrimonio con Arianna.
5.4 Arianna e Dioniso
Arianna era la figlia del re di Creta, Minosse. Quando il giovane ateniese Teseo si recò a Creta con lo scopo di uccidere il Minotauro (un mostro mezzo uomo e mezzo toro), lei se ne innamorò e lo aiutò ad uscire dal labirinto del Minotauro grazie ad un gomitolo di lana. Teseo tornò ad Atene insieme ad Arianna, ma poi l’abbandonò sull’isola di Nasso. Risvegliatasi, Arianna vide Teseo allontanarsi con la nave e pianse distrutta dal dolore. A Nasso la trovò Dioniso, che, colpito dalla disperazione della giovane, decise di sposarla rendendola immortale. Come dono di nozze, Dioniso regalò ad Arianna una corona d’oro creata da Efesto (Dio del fuoco e della metallurgia) in persona, la quale, una volta lanciata, si tramutò in una costellazione, la Corona Boreale, come segno eterno del loro amore. Il loro matrimonio fu annoverato come assolutamente fedele e Dioniso, una volta sposata, le fu sempre leale. Dalla loro unione nacquero diversi figli.
6. Apollo
Apollo era figlio di Zeus e Leto e fratello gemello di Artemide (Dea della caccia e della foresta). I suoi simboli erano la cetra (strumento musicale a corde), l’alloro e l’arco. Aveva lo stesso nome anche nella mitologia romana.
Era il Dio della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell’intelletto e della profezia, nonché colui che trainava il carro del sole, scortando la stella ardente attraverso la volta celeste. Era conosciuto anche come Febo, letteralmente “splendente” o “lucente”, riferito sia alla sua bellezza sia al suo legame con il sole.
In quanto dio delle arti, Apollo era abile nella musica e nella poesia, era circondato dalle Muse e ne era il capo.
6.1 Apollo e l’oracolo di Delfi
Apollo era anche un provetto arciere in grado di infliggere con la sua arma terribili pestilenze ai popoli che lo osteggiavano. Poco più che bambino, si cimentò nell’impresa di uccidere il drago Pitone, nemico di sua madre, ferendolo gravemente con le sue frecce forgiate dal Dio Efesto. Pitone si rifugiò presso l’oracolo della Madre Terra a Delfi, città così chiamata in onore del mostro Delfine, compagna di Pitone; ma Apollo lo inseguì anche nel tempio e osò finirlo dinanzi al sacro crepaccio. La Madre Terra, oltraggiata, ricorse a Zeus che ordinò ad Apollo di farsi purificare a Tempe. Apollo, invece di recarsi lì, salpò per Tarra, a Creta, dove eseguì la cerimonia di purificazione. Al suo ritorno in Grecia, andò a cercare Pan, il Dio dalle gambe di capra e dalla dubbia reputazione, e, dopo avergli strappato con lusinghe i segreti dell’arte divinatoria, si impadronì dell’oracolo delfico e ne costrinse la sacerdotessa, detta Pizia, a servirlo. Da quel momento divenne protettore della città e del tempio di Delfi e fu venerato come Dio oracolare. Infatti era anche Dio della saggezza e della preveggenza: presiedeva ai contratti, ai giuramenti e aveva oracoli sparsi ovunque nel mondo greco, oltre a quello di Delfi.
6.2 Gli infelici amori di Apollo
Ad Apollo si attribuiscono molti e per lo più infelici amori. Si innamorò di Coronide, da cui nacque Asclepio, Dio della medicina. Di Cassandra, che ricevette il dono della profezia, ma, poiché non ricambiò la passione del Dio, fu condannata ad essere inascoltata. Amò anche ragazzi, come Ciparisso e Giacinto trasformati dopo la morte nelle piante del giacinto e del cipresso. Apollo, dopo essersi innamorato di Giacinto, un giovane affascinante principe, dovette respingere i suoi numerosi amanti, fra cui Zefiro, Dio del vento dell’ovest. Un giorno Apollo e Giacinto fecero una gara di lancio del disco in preparazione alle Olimpiadi a cui il principe doveva partecipare. Apollo lanciò per primo, ma il disco, deviato nella sua traiettoria da un colpo di vento alzato dal geloso Zefiro, finì col colpire Giacinto alla tempia, ferendolo così a morte. Apollo cercò di salvare l’adolescente tanto amato, adoperando ogni arte medica a sua disposizione, ma non poté nulla contro il destino. Decise, a quel punto, di trasformare il bel ragazzo in un fiore dall’intenso colore, quello del sangue che Giacinto aveva versato dalla ferita.
6.3 Apollo e Dafne
Il suo primo e più rappresentativo amore fu però Dafne. Apollo, dopo aver ucciso il serpente Pitone, si vantò con Eros, il Dio dell’amore, della sua abilità con l’arco e le frecce, affermando che quest’ultimo fosse invece troppo piccolo e non idoneo ad imbracciare quelle armi. Il Dio dell’amore allora, per punirlo, colpì Apollo con una freccia d’oro, in grado di far innamorare, e la ninfa Dafne, figlia del Dio-fiume Peneo, con una di piombo, che invece faceva rinnegare l’amore. Inevitabilmente, Apollo s’invaghì proprio di colei che lo rifiutava. Una volta, mentre Apollo sospinto dall’ardente desiderio la inseguiva, Dafne chiese aiuto al padre, Peneo, il quale la trasformò in un albero d’alloro. Il Dio sentendo ancora il cuore di lei battere sotto la corteccia, l’abbracciò e la baciò, decidendo di farne il proprio albero. Da quel giorno Apollo rese quella pianta sempreverde e la consacrò. Prese le sue foglie per creare la sua corona, esse avrebbero ornato in seguito anche il capo dei vincitori e dei condottieri.
7. Meti
Meti era un’Oceanina, ossia una figlia dei due Titani Oceano e Teti; era inoltre la madre di Atena. Come Titano di seconda generazione, faceva parte di una potente stirpe che governava il cosmo prima che gli Dei Olimpi prendessero il sopravvento.
Dea dell’astuzia, della saggezza, della ragione e dell’intelligenza. Non si hanno molte notizie su di lei, in quanto la sua storia veniva narrata in modo marginale nella mitologia. Rappresentava spesso la voce della ragione, che guidava le altre divinità con la sua saggezza. I suoi poteri non si limitavano alla conoscenza, ma potevano influenzare le decisioni, rendendola un’alleata preziosa e un nemico temibile. Nella mitologia romana manteneva lo stesso nome, a testimonianza della sua posizione unica nel Pantheon.
7.1 Meti e la battaglia contro Crono
Nella mitologia greca, Meti, in quanto incarnazione della saggezza, era in grado di influenzare decisioni, strategie e il tessuto stesso dei miti. Fu lei ad aiutare Zeus a salvare i suoi fratelli da Crono, suo padre. Era stato infatti predetto che uno dei figli avrebbe detronizzato quest’ultimo, uccidendolo. Pertanto Crono, per timore di ciò, divorava viva la sua progenie, l’unico a salvarsi fu Zeus. Meti, quando Zeus fu pronto a sfidare il padre, gli consegnò un potente emetico (farmaco che induce il vomito) da dare al Titano, il quale vomitò tutti i suoi figli, liberandoli.
7.2 Meti e la nascita di Atena
Secondo il mito, fu anche la prima amante (e forse la prima moglie) di Zeus, ma la donna non si consegnò facilmente al Dio, trasformandosi in mille modi per cercare di sfuggirgli, prima di arrendersi. Un oracolo aveva previsto che Zeus sarebbe stato detronizzato da un figlio avuto da Meti e quindi, dopo aver giaciuto con lei, decise di divorarla. Nella mitologia greca l’intelligenza e l’astuzia erano rappresentate come poliformi e in continuo cambiamento: Meti, infatti, era in grado di assumere ogni forma desiderasse. Zeus la indusse quindi a trasformarsi in una goccia d’acqua e poi la inghiottì, ma lei era già incinta. Da quel momento la Dea si annidò nel cervello di Zeus conferendogli avvedutezza. Inoltre cominciò immediatamente a realizzare un elmo e una veste per la figlia che portava in grembo; i colpi di martello da lei sferrati per la realizzazione dell’elmetto provocarono a Zeus un dolore terribile alla testa. Zeus chiese aiuto ad Efesto, il quale riuscì a spaccare con un’ascia bipenne il cranio immortale di Zeus. Dalla ferita balzò fuori Atena già adulta e armata, iniziando a fare una danza guerresca. Così Zeus uscì malconcio ma vivo dalla brutta disavventura.
Nonostante la sua apparente scomparsa, la saggezza di Meti continuò a vivere attraverso Zeus ed Atena. Si pensava spesso che fosse lei a consigliare Zeus dall’interno, mantenendo così la sua influenza sugli affari divini e umani.
8. Atena
Atena era Figlia di Meti e Zeus, nata già adulta dalla testa di quest’ultimo.
Dea della sapienza, delle arti e della strategia in battaglia. Divinità guerriera e vergine, una delle più rispettate che ricopriva varie funzioni: difendere e consigliare gli eroi, istruire le donne industriose, orientare i giudici nei tribunali, ispirare gli artigiani e proteggere i fanciulli. Ma quando era in collera, questa poteva diventare spietata.
La Dea veniva rappresentata sempre vestita con peplo (abito bianco femminile greco) e spesso armata. I suoi simboli erano: la civetta Athene noctua, l’elmo, la lancia, l’Egida, ossia uno scudo ricoperto da un mantello indistruttibile realizzato con la pelle della capra Amaltea, la quale aveva protetto e nutrito Zeus. Il suo albero sacro era l’ulivo, da lei creato come dono agli ateniesi, per divenire la loro protettrice.
Nella mitologia romana si chiamava Minerva.
Atena, la guerriera saggia e forte, rappresentava le qualità intellettuali, sia dell’uomo sia della donna, infatti era anche patrona delle arti femminili, della filatura e della tessitura.
8.1 L’astuzia di Atena
Atena, nel corso dei vari miti, mostrava spesso la saggezza e l’astuzia ereditate dalla madre, Meti, rendendola una delle divinità dell’Olimpo più venerate. Quando si imbatteva in un mortale che le era spiritualmente affine, Atena ne diventava amica fedele e leale compagna. Molti eroi ne ricevettero il sostegno nelle imprese più ardue: Perseo nella lotta contro Medusa, Bellerofonte nella doma di Pegaso, Eracle nello sforzo di reggere la volta celeste. Secondo Omero, nell’Odissea Atena fu un’importante consigliera di Ulisse, in quanto la Dea riconosceva nell’eroe le sue stesse doti di intelligenza e perseveranza.
8.2 Atena e Perseo
Atena era al fianco di Perseo quando dovette affrontare Medusa, l’unica fra le tre Gorgoni ad essere mortale. Atena detestava la giovane Medusa, perché, fiera della propria splendida chioma, aveva osato competere con lei in bellezza. Offesa, la Dea aveva mutato Medusa in una creatura ripugnante e la sua chioma in un groviglio di serpi, cosicché chiunque ne avesse incrociato lo sguardo sarebbe rimasto pietrificato. L’eroe ricevette strumenti magici per poterla affrontare, tra cui lo scudo lucente donatogli da Atena, attraverso il quale avrebbe potuto guardare Medusa senza restare pietrificato. Con l’elmo di Ade, che rendeva invisibili, i calzari alati e la bisaccia magica dove nascondere la testa di Medusa, Perseo portò a compimento la propria impresa grazie anche ad Atena che guidò la sua mano.
8.3 Atena ed Aracne
Atena sapeva essere molto vendicativa, come nella vicenda di Aracne. Questa era una donna di umili origini che un giorno si vantò di essere una tessitrice migliore di Atena. La Dea andò così da lei travestita da vecchia e le consigliò di pentirsi della sua arroganza (hybris), ma la donna, invece, continuò con la sua insolenza ed era pronta a sfidare la Dea della tessitura. Atena allora riassunse le sue vere sembianze e accettò la sfida. Realizzò un arazzo che rappresentava gli Dei che punivano gli uomini, in particolare lo scontro fra Poseidone e la città di Atene, mentre Aracne ne fece uno in cui veniva deriso Zeus con le sue numerose amanti e venivano mostrati gli inganni degli altri Dei. Quando Atena vide che Aracne non solo aveva insultato gli Dei, ma aveva realizzato un lavoro più bello del suo, si sentì oltraggiata. Ridusse l’opera di Aracne in brandelli e la colpì alla testa tre volte. Terrificata e umiliata, Aracne si impiccò. La Dea, mossa dalla compassione, decise di trasformarla in un ragno, obbligandola a tessere la sua tela per l’eternità e a tramandare il suo sapere ai discendenti.
Conclusione
Questi sono i personaggi della mitologia che appaiono nel nostro Test della Saggezza, in realtà ce ne sono molti di più, e non certo meno interessanti. Se questo articolo ti ha appassionato, ti consigliamo di fare qualche ricerca in più sulla mitologia greca o romana. Se invece vuoi avere altre nozioni sul pensiero dell’antica Grecia, leggi questo articolo: Le origini del nostro motto: Gnōthi Seauton – Nosce Te Ipsum – Conosci te stesso.
Speriamo di averti incuriosito e suggerito qualche spunto di riflessione.
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